7 novembre 2013

Ecco i miei motivi



Durante la mia vita ho dovuto spesso giustificare le mie continue fughe dall’Italia; vivevo per un tempo nel nostro bel Paese e successivamente facevo una piccola fuga fuori. Vivevo per un breve periodo all’estero ma poi tornavo a casa con l’intenzione di creare proprio lì il mio futuro, cercando di far tesoro delle esperienze vissute fuori; ma non ce la facevo proprio a stare in Italia. Mentre organizzavo il mio nuovo viaggio, la mia nuova fuga, i miei familiari mi chiedevano sempre il perché: perché lontano dalla mamma, dal suo affetto e dalla sua ottima cucina? Perché lontano dal nostro splendido clima? Perché rinunciare alla nostra amata arte? Non sono mai riuscito a esprimere il motivo di queste fughe perché odio parlare, odio stare al centro dell’attenzione e soprattutto odio dovermi giustificare conversando. Ho iniziato a scrivere, quindi, principalmente per giustificarmi. Ho iniziato a scrivere anche per provare a raccontare l’indignazione di un italiano che vive all’estero e che coincide con l’indignazione di tanti altri italiani che vivono sia fuori che nel nostro bel Paese. Di indignati in giro ce ne sono tanti, indignati nei confronti dello stile di vita italiano per esempio; ecco i miei motivi:

La scomodità. Si è vero l’Italia è un paese meraviglioso; a Firenze si può passeggiare immersi nel Rinascimento, Venezia è unica, la Sicilia è una preziosità amata ovunque e non mi stancherò mai di dire che per me Roma è la città più bella al mondo. Ma io non passavo le giornate tra Uffizi e piazza Navona; io l’arte l’apprezzavo di tanto in tanto. Credo che realmente l’arte italiana sia goduta perlopiù dai turisti; difatti la maggior parte di quelli che si vantano dell’arte italiana lo fanno esclusivamente per orgoglio, mica ci vanno ai musei. Io non mi sono mai sentito fortunato per l’arte italiana, io non passavo le giornate tra piazza San Marco e il duomo di Milano; io passavo le giornate alla periferia di Reggio Calabria aspettando un treno sempre in ritardo e che molte mattine neppure arrivava. Effettivamente l’arte italiana ha poco a che vedere con i trasporti pubblici, ma tutte le volte in cui mi lamentavo della mia vita in Italia e delle mie disavventure con treni e autobus, mi rispondevano sempre che almeno siamo circondati dall’arte. L’arte in Italia ormai è come lo sport in Spagna dove vivo attualmente: serve a distrarre la gente dai problemi reali. Ma i trasporti pubblici sempre in ritardo e caotici non sono l’unica scomodità italiana. La carta d’identità è complicata ed enorme così come la patente. Quando la carta d’identità scade, ti cambiano il numero della tessera nella versione nuova, proprio quel maledetto numero che avevi appena memorizzato dopo 5 lunghi anni. Mentre quando scade la patente, invece, ci attaccano su un bollino che rinnova il documento - quello stesso enorme documento con la foto di quando avevi 18 anni e ancora tutti i capelli - a meno che non sei disposto a pagare 50 euro. La burocrazia, la maggior parte della quale è inutile, è spaventosamente lenta. Sono inoltre molteplici le scomodità legate alle università italiane: gli esami di stato - che mi rifiuto di fare - dopo anni di sacrifici per raggiungere la sospirata laurea; la pergamena - pagata in anticipo almeno 40 euro - che non arriva mai; quando all’estero cerco di spiegare come si calcola il voto di laurea la gente rimane incredula: “bisogna fare la media di tutti i voti degli esami che variano da 18 a 30, ma questo non vale in tutte le università perché in alcune, il calcolo della media viene fatto eliminando gli X voti più bassi. Il valore di X può cambiare addirittura nella stessa università durante gli anni e dipende anche dal segretario di turno che ti riceve allo sportello della segreteria. Una volta aver capito di quanti esami fare la media, il risultato di tale media viene moltiplicato per 11 e diviso per 3. Il nuovo risultato dà un numero compreso tra 60 e 110 che non rappresenta ancora il voto di laurea finale, perché a questo va aggiunto un punteggio assegnato alla tesi che cambia a seconda dell’università. In alcuni casi al 110 si aggiunge la lode, ma non ho ancora capito esattamente quando viene data.” 

L’apparenza. Tutto in Italia deve essere bello e morale e non si capisce bene quando il bello sfocia nell’immoralità. Alla tele le persone sono tutte belle: nei programmi satirici ci sono le veline, nei quiz televisivi ci sono le letterine, nei varietà ci sono le belle soubrette, le conduttrici dei telegiornali guarda caso sono sempre belle, il grande fratello sembra una sfilata di moda, le sfilate di moda in generale ci sono anche in programmi che con la moda non c’entrano nulla. Nella televisione italiana si trova tanta gente bella ma pochi contenuti; in Italia avevo smesso d’accendere la tele. All’estero l’ho riaccesa notando che i programmi satirici fanno lo stesso satira senza bisogno dei preziosi glutei delle veline, i quiz televisivi esistono per il gusto di rispondere a delle domande e non per animare i testosteroni dei telespettatori, i varietà per fortuna scarseggiano dando a spazio al cinema e ai documentari, i telegiornali sono condotti da comuni giornalisti non necessariamente belli, il grande fratello fa comunque schifo ma almeno ci va gente comune, si parla di moda solo in servizi con collegamenti all’estero, con collegamenti in Italia quasi sempre. In Italia al lavoro conta di più il sorriso e il bell’aspetto che la preparazione, bisogna andare a lavoro vestiti in modo elegante, magari scomodo, ma pur sempre elegante. Un politico deve avere un bell’aspetto e deve usare il congiuntivo indipendentemente se abbia la fedina penale pulita o meno. 

Le raccomandazioni. Sono tante, troppe per un paese come l’Italia. L’incompetenza è ovunque; all’estero il raccomandato esiste, tutto il mondo è paese, ma all’estero il raccomandato è l’eccezione, in Italia l’eccezione è trovare una persona preparata nel proprio settore. Dall’incompetenza dei raccomandati escono fuori i già citati ritardi dei trasporti pubblici, morti assurde negli ospedali, voti altissimi agli esami di maturità per ragazzi mediamente preparati da modesti professori, file interminabili in uffici postali e banche. 

La presunzione della religione. Su questo si potrebbe parlare per ore, è un problema troppo delicato che non mi va di trattare perché fondamentalmente non m’interessa. Ma purtroppo la religione, soprattutto in Italia, ha creato numerose moralità fittizie.  L’omosessualità è vista come il più vile dei mali; l’eutanasia è immorale così come l’inseminazione artificiale e l’aborto, giusto per rompere le scatole, mica perché ci credono veramente; pur di diffondere queste morali fittizie usano una radio potenzialmente illegale, ma legale in Vaticano, che può provocare gravi danni alla salute; a scuola non permette uno studio accurato di un genio come Darwin solo perché ha dimostrato scientificamente tutto ciò che nega la religione. Non mi lamento più della religione, mi è passata la voglia, non ne vale la pena, è tempo perso, ma comunque continua a infastidirmi. 

Beh ora vivo in Spagna e gli ultimi 2 punti continuano a perseguitarmi. Il mio prossimo obiettivo è togliermi di dosso quegli ultimi 2 punti che mi indignano, magari andando a vivere in Canada o in Islanda e forse quel giorno finirò di scrivere stronzate.

Alessandro R Wao

10 settembre 2013

Dall’aldilà…

Se mai riuscirò a concludere qualcosa nella vita sarà solo merito mio, non certo degli altri. Non credo in loro, e neppure alle fantomatiche promesse di un lavoro sicuro e di una vita migliore.
E non crediate alle clamorose cazzate che si vanno dicendo in giro, che se t’impegni nella vita prima o poi ce la farai, che non conta chi sei, ma piuttosto ciò che fai, che arriveranno tempi migliori, che in un prossimo futuro viaggeremo su altri pianeti, che il cibo non è avvelenato, che le donne sono tutte troie, che i gay sono dei malati mentali, che un’ora di corsa al giorno ti fa campare cent’anni. La verità è che per quanto vi sforziate le cose vanno come devono andare, e il vostro giudizio in merito non è assolutamente richiesto!
Mi dispiace davvero per voi, se ci restate male. Ma nemmeno più di tanto, in fondo, perché se ancora non l’avete messo a fuoco, nessuno vi dirà come fare per capovolgere questa vostra, triste situazione.
Avreste dovuto capirlo molto tempo fa quale fosse la strada da prendere, non adesso, l’avreste dovuto sapere da quando, quella volta, avete fatto un’autorete nel campino di calcio del prete del paese che se ne va in giro con la Golf ed ha pure l’amante fighissima. Ecco, lui, il prete, è stato molto più furbo di voi . Avevate forse sei anni, magari nove o dodici, non ha importanza: avete gettato il pallone in un angolo remoto del vostro piccolissimo cervello e l’avete abbandonato lì? No? Avete insistito perché col calcio si guadagna bene? Bravi.
Bravi coglioni!
Il risultato è stato che avete entrambe le ginocchia spappolate, il menisco che si blocca ogni tre giorni e la vostra carriera è terminata all’età di trent’anni a Seigatti, nel team d’eccellenza di questa remota provincia lucchese che conoscete solo voi e gli altri undici inetti, vostri compagni di squadra. L’avete fatto per la gioia del sindaco che è intrippato col calcio e di quei quattro alcolizzati che la domenica mattina non dormono perché sono in astinenza da Stravecchio, e ciò a cui ambiscono maggiormente è stare tutto il santo giorno a poltrire davanti a una manciata di stronzi che danno i calci ad una palla e che, oltre quello, non sanno fare.  Avete guadagnato sì e no trecento euro al mese e preso tanta pioggia e fango. Grandissimi campioni!
A me non importa se queste parole vi fanno incazzare, anzi quello sarebbe il risultato migliore: morti, sonnambuli, parassiti, zombiformi esseri viventi che popolate lo stivale, inutili prodotti della televisione, ma dove volete andare lo sapete almeno?
No che non lo sapete, non sapete un cazzo di niente, a dire la verità. E non è neppure colpa vostra, perché il bello della vita è proprio questo: che esistano dei coglioni come voi… e come me.
Vi osservo dall’alto, stasera, e vedo solo una fila sterminata d’insetti che si muovono, corrono e si affannano, crepano e passano oltre, in quell’indifferenza che invece indifferenza non è, perché quando qualcuno muore c’è più spazio per gli altri, si aprono nuove possibilità, ci si sta più larghi, al mondo.
E allora: Meno uno, meno due, meno trenta, meno settemiladuecentocinquanta:
“Poverino, è morto il tizio che ci porta il latte la mattina”, dite a vostra moglie mentre lei prepara la vostra colazione (senza latte),
“che disgrazia”, vi risponde lei, “era così un bravo ragazzo”, mentre vi versa distrattamente il caffè nella tazzina e un po’ sul pigiama, “cercheranno mica un rimpiazzo, potremmo sentire se serve un garzone, così quel nullafacente di tuo figlio almeno fa qualcosa”.
“Quel mangia pane a tradimento è anche figlio tuo, e se vuole lavorare che se lo cerchi da solo, che io mi sono rotto il cazzo di stargli dietro, ha trent’anni suonati, porca miseria, è tutta colpa tua che l’hai viziato e ora non fa un cazzo, stronza!”
Basta poco, insomma, per far dimenticare che qualcuno se n’è andato e non tornerà mai più, neppure se piangerete in cinese (tanto prima o poi dovrete imparare, a piangere in cinese!), a far sgorgare  dalla vostra testa tutti quei pensieri nascosti e vomitare dalle vostre bocche bulimiche tutti i sensi di colpa accumulati in una vita, tutti i rimorsi e l’astio nei confronti di tutto ciò che vi circonda.
E la vita prosegue, infinita, irriverente, noncurante.
Quindi andate avanti, accendete la tv e osservate, applicatevi e imparate... che magari il prossimo anno tocca a voi il Reality e la popolarità, e la vostra vita del cazzo cambia… andate oltre, ascoltate il TG, raggiungete la Puglia che forse ci scappa una bella foto con l’assassino,  ma non dimenticate di fare un salto in chiesa la domenica mattina, di santificare le feste e di comprare l’auto nuova ogni duecentomilachilometri … 
Proseguite con le vostre misere vite fatte di nulla, perché il nulla vi piace, è bello, si fa sfiorare ma non si fa raggiungere, e voi correte, correte bravi, correte come i cani all’interno di un velodromo, e alla fine della corsa avrete il vostro premio, una bella cassa duecento per ottanta, e se siete stati bravi, che magari dopo qualche anno avete fatto tredici, il radica di noce è assicurato… ricordate però, che dall’aldilà vi stanno già prendendo per il culo!

G van Ozzy

22 maggio 2013

Penso, dunque m'indigno

Indignati nasce per dar sfogo ad alcune riflessioni che normalmente si fanno nei bar tra amici, o nelle piazze tra manifestanti, o magari su facebook commentando un post di un amico. Questo blog nasce per parlare di tutto ciò che provoca indignazione e che non si riesce a manifestare adeguatamente in altri contesti. Nei bar tra amici la propria riflessione resta appunto tra amici, rinchiusa tra 4 mura che non può coinvolgere nessun altro. Nelle piazze tra manifestanti la propria riflessione scritta su uno striscione viene fraintesa dalle forze dell’ordine e dalla stampa che la descrive come un modo per istigare la folla alla violenza. Nei commenti su facebook le riflessioni importanti vengono trascurate dai commenti e dai “mi piace” che riempiono invece altri tipi di post. Come quelli che regalano un omaggio a gente famosa - solo perché è gente famosa - appena passata a miglior vita; o quelli che raccontano le frasi scontate del nuovo papa che ci invita a volerci più bene e a essere più buoni, o che manda in ritiro spirituale il vescovo birichino che confessa la propria pedofilia. 

Indignati nasce per raccogliere pensieri e commenti di gente indignata riscontrati nella letteratura, o nati dalle proprie esperienze di vita, o letti nei post meno cool di facebook, o magari notati in televisione. Pensieri che in altri contesti non verrebbero notati. Il modo più efficace per esprimere la propria indignazione è ormai la scrittura e la diffusione delle proprie idee nei blog.   
Gli indignati sparsi per il mondo sono tantissimi; quelli sparsi in questo blog sono: Alessandro Raschellà, ingegnere delle telecomunicazioni in lotta con il suo dottorato a Barcellona; Federico Crosara, videomaker stanco ma ottimista; Giovanni Vannozzi, giornalista per caso a spasso nel suo mondo. Ma potrebbero essere di più, qualunque indignato - compreso quello che s’indigna leggendo le nostre riflessioni - può lasciare il proprio commento sui nostri post.