Durante la
mia vita ho dovuto spesso giustificare le mie continue fughe dall’Italia;
vivevo per un tempo nel nostro bel Paese e successivamente facevo una piccola
fuga fuori. Vivevo per un breve periodo all’estero ma poi tornavo a casa con
l’intenzione di creare proprio lì il mio futuro, cercando di far tesoro delle
esperienze vissute fuori; ma non ce la facevo proprio a stare in Italia. Mentre
organizzavo il mio nuovo viaggio, la mia nuova fuga, i miei familiari mi
chiedevano sempre il perché: perché lontano dalla mamma, dal suo affetto e
dalla sua ottima cucina? Perché lontano dal nostro splendido clima? Perché
rinunciare alla nostra amata arte? Non sono mai riuscito a esprimere il motivo
di queste fughe perché odio parlare, odio stare al centro dell’attenzione e
soprattutto odio dovermi giustificare conversando. Ho iniziato a scrivere,
quindi, principalmente per giustificarmi. Ho iniziato a scrivere anche per
provare a raccontare l’indignazione di un italiano che vive all’estero e che
coincide con l’indignazione di tanti altri italiani che vivono sia fuori che
nel nostro bel Paese. Di indignati in giro ce ne sono tanti, indignati nei
confronti dello stile di vita italiano per esempio; ecco i miei motivi:
La
scomodità. Si è vero l’Italia è un paese meraviglioso; a Firenze si può
passeggiare immersi nel Rinascimento, Venezia è unica, la Sicilia è una
preziosità amata ovunque e non mi stancherò mai di dire che per me Roma è la
città più bella al mondo. Ma io non passavo le giornate tra Uffizi e piazza
Navona; io l’arte l’apprezzavo di tanto in tanto. Credo che realmente l’arte
italiana sia goduta perlopiù dai turisti; difatti la maggior parte di quelli
che si vantano dell’arte italiana lo fanno esclusivamente per orgoglio, mica ci
vanno ai musei. Io non mi sono mai sentito fortunato per l’arte italiana, io
non passavo le giornate tra piazza San Marco e il duomo di Milano; io passavo
le giornate alla periferia di Reggio Calabria aspettando un treno sempre in
ritardo e che molte mattine neppure arrivava. Effettivamente l’arte italiana ha
poco a che vedere con i trasporti pubblici, ma tutte le volte in cui mi
lamentavo della mia vita in Italia e delle mie disavventure con treni e autobus,
mi rispondevano sempre che almeno siamo circondati dall’arte. L’arte in Italia ormai
è come lo sport in Spagna dove vivo attualmente: serve a distrarre la gente dai
problemi reali. Ma i trasporti pubblici sempre in ritardo e caotici non sono
l’unica scomodità italiana. La carta d’identità è complicata ed enorme così
come la patente. Quando la carta d’identità scade, ti cambiano il numero della
tessera nella versione nuova, proprio quel maledetto numero che avevi appena
memorizzato dopo 5 lunghi anni. Mentre quando scade la patente, invece, ci
attaccano su un bollino che rinnova il documento - quello stesso enorme
documento con la foto di quando avevi 18 anni e ancora tutti i capelli - a meno
che non sei disposto a pagare 50 euro. La burocrazia, la maggior parte della
quale è inutile, è spaventosamente lenta. Sono inoltre molteplici le scomodità
legate alle università italiane: gli esami di stato - che mi rifiuto di fare -
dopo anni di sacrifici per raggiungere la sospirata laurea; la pergamena -
pagata in anticipo almeno 40 euro - che non arriva mai; quando all’estero cerco
di spiegare come si calcola il voto di laurea la gente rimane incredula:
“bisogna fare la media di tutti i voti degli esami che variano da 18 a 30, ma
questo non vale in tutte le università perché in alcune, il calcolo della media
viene fatto eliminando gli X voti più
bassi. Il valore di X può cambiare
addirittura nella stessa università durante gli anni e dipende anche dal
segretario di turno che ti riceve allo sportello della segreteria. Una volta
aver capito di quanti esami fare la media, il risultato di tale media viene
moltiplicato per 11 e diviso per 3. Il nuovo risultato dà un numero compreso
tra 60 e 110 che non rappresenta ancora il voto di laurea finale, perché a
questo va aggiunto un punteggio assegnato alla tesi che cambia a seconda
dell’università. In alcuni casi al 110 si aggiunge la lode, ma non ho ancora
capito esattamente quando viene data.”
L’apparenza.
Tutto in Italia deve essere bello e morale e non si capisce bene quando il
bello sfocia nell’immoralità. Alla tele le persone sono tutte belle: nei programmi
satirici ci sono le veline, nei quiz televisivi ci sono le letterine, nei
varietà ci sono le belle soubrette, le conduttrici dei telegiornali guarda caso
sono sempre belle, il grande fratello sembra una sfilata di moda, le sfilate di
moda in generale ci sono anche in programmi che con la moda non c’entrano
nulla. Nella televisione italiana si trova tanta gente bella ma pochi
contenuti; in Italia avevo smesso d’accendere la tele. All’estero l’ho riaccesa
notando che i programmi satirici fanno lo stesso satira senza bisogno dei
preziosi glutei delle veline, i quiz televisivi esistono per il gusto di
rispondere a delle domande e non per animare i testosteroni dei telespettatori,
i varietà per fortuna scarseggiano dando a spazio al cinema e ai documentari, i
telegiornali sono condotti da comuni giornalisti non necessariamente belli, il
grande fratello fa comunque schifo ma almeno ci va gente comune, si parla di
moda solo in servizi con collegamenti all’estero, con collegamenti in Italia quasi
sempre. In Italia al lavoro conta di più il sorriso e il bell’aspetto che la
preparazione, bisogna andare a lavoro vestiti in modo elegante, magari scomodo,
ma pur sempre elegante. Un politico deve avere un bell’aspetto e deve usare il
congiuntivo indipendentemente se abbia la fedina penale pulita o meno.
Le
raccomandazioni. Sono tante, troppe per un paese come l’Italia. L’incompetenza
è ovunque; all’estero il raccomandato esiste, tutto il mondo è paese, ma
all’estero il raccomandato è l’eccezione, in Italia l’eccezione è trovare una
persona preparata nel proprio settore. Dall’incompetenza dei raccomandati
escono fuori i già citati ritardi dei trasporti pubblici, morti assurde negli
ospedali, voti altissimi agli esami di maturità per ragazzi mediamente
preparati da modesti professori, file interminabili in uffici postali e banche.
La
presunzione della religione. Su questo si potrebbe parlare per ore, è un
problema troppo delicato che non mi va di trattare perché fondamentalmente non
m’interessa. Ma purtroppo la religione, soprattutto in Italia, ha creato
numerose moralità fittizie.
L’omosessualità è vista come il più vile dei mali; l’eutanasia è
immorale così come l’inseminazione artificiale e l’aborto, giusto per rompere
le scatole, mica perché ci credono veramente; pur di diffondere queste morali
fittizie usano una radio potenzialmente illegale, ma legale in Vaticano, che
può provocare gravi danni alla salute; a scuola non permette uno studio
accurato di un genio come Darwin solo perché ha dimostrato scientificamente tutto
ciò che nega la religione. Non mi lamento più della religione, mi è passata la
voglia, non ne vale la pena, è tempo perso, ma comunque continua a
infastidirmi.
Beh ora
vivo in Spagna e gli ultimi 2 punti continuano a perseguitarmi. Il mio prossimo
obiettivo è togliermi di dosso quegli ultimi 2 punti che mi indignano, magari
andando a vivere in Canada o in Islanda e forse quel giorno finirò di scrivere
stronzate.
Alessandro R Wao
Alessandro R Wao